Foreste vetuste e di neoformazione sono due espressioni proprie del settore forestale, ma che oggi ricorrono anche sulla stampa e sui siti divulgativi perché vi è, almeno in apparenza, un rinnovato interesse nei confronti del patrimonio boschivo nazionale in conseguenza dei cambiamenti climatici sempre più manifesti, dell’inquinamento diffuso e delle pandemie forse ad essi correlate. Vediamo quale è il loro significato e quale ruolo possono svolgere nel gioco degli equilibri ambientali.
Le foreste vetuste
Le foreste vetuste non sono foreste vergini – in termini scientifici si dice “primeve” – ossia formazioni boschive mai toccate dall’uomo. Sono, invece, foreste utilizzate dall’uomo in passato, ma che non vengono più tagliate da molti secoli. Queste foreste nel tempo hanno acquisito particolari caratteristiche che ricordano quelle dei consorzi primevi. Ad esempio, sono connotate da alberi di dimensioni imponenti, ben distanziati tra loro, con fusti che presentano cavità e parti necrotiche, spesso coperti da licheni. Inoltre, nel bosco vetusto si riscontra molto legno morto in vari stadi di degradazione, a partire da alberi morti in piedi e tronchi adagiati al suolo. Si tratta, però, di foreste molto vive che mostrano tutti gli stadi del ciclo biologico delle singole piante e dell’intero ecosistema, dalla rinnovazione costituita dalle piante più giovani fino agli alberi senescenti prossimi alla morte biologica. Anche la fauna che ospitano è particolarmente ricca perché, grazie alla struttura forestale molto articolata e complessa, si ritrovano tutti gli elementi che compongono le reti alimentari. Completa il quadro un suolo profondo, maturo, molto fertile e con componente biologica espressa al massimo grado.
In Italia non esistono foreste vergini, ma quelle vetuste non sono rarissime. Naturalmente si parla sempre di popolamenti poco estesi, ma di enorme importanza scientifica e documentale. Al riguardo si possono ricordare le faggete vetuste della Val Cervara o di Coppo del Morto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, quella di Sassofratino nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e quella del Monte Cimino nel Lazio, divenute Patrimonio UNESCO, oppure la lecceta di Monteluco presso Spoleto in Umbria.

La loro funzione
L’importanza delle foreste vetuste, e quindi della loro conservazione, è assoluta. Sul piano ecologico rappresentano la massima espressione della biocomplessità (termine più efficace di biodiversità) degli ecosistemi ossia il più alto livello di efficienza, e allo stesso tempo di equilibrio, che un ecosistema possa raggiungere. Per tale motivo queste foreste sono anche tra i maggiori sequestratori di anidride carbonica di cui si possa disporre sulle terre emerse. Insieme con le foreste primeve, sono anche gli scrigni che custodiscono i patrimoni genetici più antichi, quelli che hanno resistito per secoli alle più varie modificazioni ambientali mostrando, di conseguenza, superlative capacità adattative. È lì che potremo recarci a raccogliere il seme se (o quando) i cambiamenti climatici metteranno in crisi gli altri boschi stressati da millenni di sfruttamento irrazionale da parte dell’uomo. Soprattutto, è fondamentale e insostituibile il ruolo che le foreste vetuste rivestono in campo scientifico. Esse, infatti, da una parte costituiscono il laboratorio più attrezzato per cercare di approfondire le conoscenze sul funzionamento degli ecosistemi forestali, dall’altra sono l’unico riferimento possibile per il perfezionamento dei modelli di gestione forestale e delle tecniche di selvicoltura. La conservazione di queste foreste è perciò imperativa e la loro perdita sarebbe irreparabile. Purtroppo, pochi se ne rendono conto e in molti Paesi il rumore delle motoseghe non è affatto estraneo a questi boschi.

Le foreste di neoformazione
Si definiscono invece foreste di neoformazione quei boschi che si sono costituiti o si stanno formando spontaneamente sui terreni abbandonati. Si tratta di un processo che si ripete periodicamente per cause naturali o antropiche. Nel primo caso è determinato dalla ricolonizzazione di aree forestali distrutte da incendi, frane, valanghe, alluvioni o altri eventi calamitosi. Nel secondo, è legato alle migrazioni dei popoli. In Italia l’ultimo “ciclo” è iniziato verso dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e, più in particolare, negli anni Sessanta del secolo scorso quando, in coincidenza del boom economico e industriale del Paese, cominciò il rapido spopolamento delle aree interne, rurali e montane, a vantaggio delle città. La riconquista da parte dei boschi dei terreni agricoli è stata imponente e oggi si stima che non meno del 20% del patrimonio forestale nazionale sia di neoformazione.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad ecosistemi forestali di grandissima importanza che andrebbero conservati tal quali. A loro si deve, infatti, la stabilizzazione di tanti terreni che altrimenti sarebbero scomparsi a causa dell’erosione prodotta dalle piogge, con conseguente aggravamento dei fenomeni di dissesto idrogeologico che affliggono l’Italia. A loro si deve l’incremento della capacità di assorbimento di anidride carbonica e anche della fauna selvatica. A loro, infine, il ruolo di modelli per comprendere come nasce e si sviluppa spontaneamente un bosco. Attenzione, dunque, a non sottovalutare e degradare o distruggere questi boschi. Alcuni di loro potrebbero essere le foreste vetuste di domani.
Conclusioni
In un contesto ecologico più generale, i boschi di neoformazione e quelli vetusti rappresentano ciò che rende completo il ciclo forestale. La maggior parte dei nostri boschi, infatti, è ordinariamente utilizzato e pertanto costituito da formazioni che non vengono lasciate alla loro libera evoluzione, ma vengono tagliate al momento della loro maturità commerciale ovvero viene negata loro la possibilità di invecchiare fino al limite della vita biologica. Egualmente, nel nostro Paese si sta affermando la tendenza a eliminare le foreste di neoformazione considerandole invasive.
Questo tipo di pratiche però non solo è scorretto nei confronti delle foreste, ma mette in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. I cambiamenti climatici in atto stanno rendendo gli equilibri del pianeta molto fragili, almeno per ciò che concerne la nostra condizione. Salvaguardare e proteggere le foreste non è dunque solo un dovere o una forma di rispetto nei loro confronti, ma anche un impegno da prendere per il futuro delle nuove generazioni.
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