di Alessandra Petroselli
C’erano una volta…le collezioni di abbigliamento autunno/inverno e primavera/estate. No, non è l’inizio di un bel racconto ma la storia di come il settore della moda, trainato dal fast fashion, sia diventato la seconda industria più inquinante al mondo dopo quella del petrolio, trasformandosi in un sistema con un impatto ambientale insostenibile.
Cos’è e come funziona
L’espressione fast fashion identifica il business dell’abbigliamento alla moda, di dubbia qualità e a prezzo conveniente che viene realizzato a ritmi velocissimi, grazie a una strategia di produzione rapida ed economica, che accorcia tempi e costi di tutte le fasi di lavoro.
In questo modo, il fast fashion ha imposto il superamento del ciclo stagionale della moda, per rilasciare nuove creazioni mediamente ogni mese, immettendo sul mercato prodotti con un ciclo di vita di poche settimane.
Inondando gli scaffali di articoli sempre nuovi e a prezzi accessibili a chiunque, questo sistema da un lato risponde al desiderio di chi vuole essere sempre in linea con le ultimissime tendenze, spendendo pochi euro, e dall’altro funziona da richiamo, perché invoglia i consumatori a entrare in negozio, o a visitare gli store online, con una frequenza sempre maggiore, anche solo per dare un’occhiata ai nuovi arrivi.
Inoltre, l’utilizzo di fibre di bassa qualità riduce la durata dei capi di abbigliamento, che finiscono per deteriorarsi molto più velocemente di quanto accadesse in passato.
Si tratta, quindi, di un meccanismo che si autoalimenta in un circuito di domanda/offerta, per espandersi continuamente, aumentando le vendite e massimizzando i profitti.

Modello culturale
Ma il fast fashion oltre ad essere un modello economico è anche un fenomeno socio-culturale che, se da un lato ha portato a una democratizzazione delle moda, facendola diventare alla portata delle tasche di tutti, dall’altro ha anche introdotto una cultura della moda usa e getta.
La facilità di acquisto, dovuta alla moltiplicazione parossistica dell’offerta e all’abbassamento dei prezzi, unita alla gratificazione di poter comprare qualcosa di nuovo in qualsiasi momento e senza reale necessità, ha ridotto la consapevolezza dei consumatori su quali siano le conseguenze di tutto ciò.

Costi ambientali e sociali
Il vero costo del sistema moda è enorme, sia in termini ambientali che di diritti umani.
L’industria dell’abbigliamento è responsabile dell’emissione di circa 1.2 miliardi di tonnellate di CO2 e del consumo di 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili e di 93 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno.
All’inquinamento generato in fase di produzione si somma poi quello prodotto per lo smaltimento dei tessuti. Solo una piccolissima parte degli abiti dismessi infatti viene riciclato. Così, la quantità di capi buttati cresce vertiginosamente, e il problema sta non solo nel volume che si accumula nelle discariche e finisce negli inceneritori ma anche nella tipologia dei tessuti, per la maggior parte composti da fibre sintetiche.
Quello sull’ecosistema, però, non è l’unico impatto devastante dell’industria del fast fashion.
Un modello di business che si fonda sull’aumento della produzione a costi sempre più bassi ha inevitabilmente effetti nefasti anche per le persone impiegate nelle varie fasi di lavorazione.
La filiera tessile, infatti, si è spesso rivelata particolarmente esposta a rischi per quanto riguarda lo sfruttamento della manodopera e le condizioni di salute e sicurezza in cui operano i lavoratori.

Cosa possiamo fare
Prendere coscienza di ciò che c’è dietro i capi d’abbigliamento che indossiamo, di come sono prodotti e da chi, è il primo passo per riflettere di più sui nostri acquisti, ripensando le nostre abitudini per imparare a comportarci con meno leggerezza.
Nessuno ci chiede di rinunciare a comprare un nuovo paio di jeans quando ci serve o al piacere di fare shopping. Possiamo però farlo con più attenzione per prenderci cura dei diritti di tutti.
Come? Qualche idea ve la diamo noi con la nostra Top Five di consigli per una moda responsabile e sostenibile!
- Less is more: una filosofia di vita doppiamente utile perché ci dà la possibilità di scegliere prodotti di qualità migliore, che perciò dureranno più a lungo, e di avere poi quantità minori di tessuti da smaltire una volta finito il loro ciclo di vita.
- Piccolo è bello: acquistare da piccole imprese, magari a carattere artigianale, è in genere garanzia di contribuire a far crescere realtà imprenditoriali sane e virtuose.
- Second hand: mercatini dell’usato, negozi di vintage, swap parties, sono tanti i modi per dare ai vestiti una seconda opportunità e rinnovare il guardaroba in base ai principi dell’economia circolare.
- No agli acquisti d’impulso: una regola d’oro che vi eviterà di sprecare denaro e di far esplodere il vostro armadio di cose di cui non avete bisogno.
- Sapere è potere: se le persone hanno potere, come canta Patti Smith, è perché hanno la possibilità di informarsi per prendere decisioni consapevoli. Perciò informiamoci sui brand e le politiche che adottano dal punto di vista ambientale e sociale e comportiamoci di conseguenza.
Partendo da quello che scegliamo o non scegliamo di comprare possiamo spingere le aziende dell’industria della moda ad agire nel rispetto sia delle persone che dell’ambiente per creare un futuro più etico e sostenibile per ognuno di noi.
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